Venture builder: la nuova frontiera dell'innovazione aziendale
«Venture builder non è sinonimo di startup studio, né tantomeno di acceleratore di startup. Il venture building è la nuova frontiera dell’innovazione aziendale, un modo per innovare anche in ambiti diversi dal proprio core business, per fondare nuove aziende e iniziative sfruttando il know how che si ha all’interno. È la risposta per evitare di soffocare l’innovazione con processi aziendali troppo lunghi e articolati. Condizione fondamentale è mantenere l’autonomia del team e della governance della startup rispetto a quelli dell’azienda madre, a cui lasciare la possibilità di muoversi velocemente come una startup e di correre rischi che l’azienda madre non può assumersi». A sottolinearlo è Enrico Noseda, Chief Innovation Officer di Cariplo Factory.
Il venture builder classico prevede la costruzione di una startup esterna con shareholder diversi che aiutano a costruirla e poi cedono le loro quote all’azienda madre. Esistono varianti, come l’esternalizzazione senza cedere equity o lasciando le quote ai manager. L’importante è che il progetto venga costruito lontano dal core business per non essere soffocato dai processi aziendali e cresca come se fosse una startup.
Enrico Noseda
Il processo di venture building
Il processo di venture building si articola in diverse fasi. La prima fase prevede l’identificazione di nuove opportunità di business all’interno dell’organizzazione madre. Questo step richiede una conoscenza approfondita delle competenze e delle risorse disponibili, nonché dell’ambiente di mercato in cui l’azienda opera.
Si passa poi alla fase di market validation. La market and product validation è un processo che consente di verificare se l’idea funziona sui mercati. Le aziende devono capire che per fare la vera innovazione, devono esternalizzarla, creando un nucleo autonomo di risorse interne o esterne.
Una volta individuate le opportunità di business, si passa alla fase di sviluppo del concetto, in cui si definiscono i requisiti di base del nuovo progetto e si valutano le possibili sinergie con l’organizzazione madre.
Il fenomeno dei venture builder nel mondo: dati
A livello mondiale, il settore dei venture builder è in crescita costante. Secondo un rapporto di Global Venture Builder Network, nel 2020 sono stati creati oltre 250 venture builder in tutto il mondo, con una concentrazione significativa in Nord America, Europa e Asia. Si stima che i venture builder abbiano coinvolto oltre 4.000 startup a livello globale.
In Italia, l’ecosistema dei venture builder è in rapida espansione, grazie alla presenza di talento imprenditoriale e ad un ambiente favorevole all’innovazione. Secondo i dati di Italia Startup, nel 2021 sono stati censiti oltre 50 venture builder attivi nel Paese, con una presenza principalmente concentrata nelle principali città come Milano, Roma e Torino.
Un esempio concreto
Cube Labs è un venture builder italiano che ha fatto della convergenza tra l’innovazione nel settore sanitario e l’approccio manageriale nel mondo medico il suo obiettivo principale. Fondata nel 2013, Cube Labs è stata costituita in un periodo in cui l’idea di un venture builder in Italia era ancora relativamente sconosciuta.
Filippo Surace, fondatore di Cube Labs, è un medico chirurgo di quarta generazione, con una solida esperienza nella riabilitazione neuromotoria in Puglia. Da oltre 20 anni, ha dedicato la sua carriera all’innovazione nel settore sanitario, cercando di applicare modelli innovativi di trasferimento tecnologico e sviluppando un approccio imprenditoriale nel mondo medico. Con una predisposizione imprenditoriale e una spinta verso il rischio, il fondatore ha deciso di avviare un venture builder o startup studio quando ancora in Italia non se ne parlava. Ha iniziato la sua carriera nel mondo delle startup negli anni ’90, lavorando con il primo grande incubatore di startup, Idealab, che ha portato al successo di centinaia di startup e molte ipo.
Filippo Surace
Nel 2013, Surace ha costituito Cube Labs, che si è posizionata come un company builder, costruendo società partendo da un’analisi di mercato approfondita e partendo da zero.
Un elemento distintivo dell’approccio di Cube Labs è l’innovazione nel modello stesso del venture builder. Ha stretto un accordo con l’Inbb (Istituto nazionale di biostrutture e biosistemi), un consorzio privato che opera nell’ambito delle scienze della vita, coinvolgendo 24 università, il Cnr (Consiglio nazionale delle ricerche) e altri enti pubblici. Questa collaborazione ha consentito a Cube Labs di avvalersi delle competenze e delle risorse dell’Inbb per promuovere l’innovazione.
Dal 2014 al 2017, Cube Labs ha svolto attività di disseminazione del proprio modello, mentre nel 2018 ha iniziato ad agire come venture builder, creando un portafoglio di startup tecnologiche. Attualmente, il bilancio di Cube Labs include un patrimonio intellettuale valutato a 52 milioni di euro. Il portafoglio di Cube Labs comprende 13 startup, di cui 12 sono spin-off accademici. Queste startup operano in diversi settori, tra cui biotecnologie, dispositivi medici, intelligenza artificiale e nutraceutica. Cube Labs ha raccolto finanziamenti da Cdp Venture Capital, che ha investito in quattro delle sue società partecipate.
Il 21 marzo, Cube Labs ha deciso di quotarsi sull’Egm Pro, dimostrando così il suo impegno nella crescita e nella scalabilità delle proprie startup. Attualmente sta sviluppando un programma di crescita che prevede lo sviluppo di tecnologie già selezionate.
La situazione italiana
In Italia siamo pronti? Qui sempre più imprese stanno iniziando a comprendere l’importanza di esternalizzare l’innovazione, ma c’è ancora resistenza dovuta alla scarsa dimestichezza con questo approccio, a una presenza ancora non sufficiente di competenze digitali e a una mentalità ancora non del tutto improntata al “fare startup” – che implica rapidi testi di mercato, piccoli fallimenti, correzioni in corsa (basti pensare che negli Usa Pioneer Square Labs ha “ucciso sul nascere” 145 idee di impresa e ne ha accompagnate alla fondazione solamente 17).
Nonostante ciò, anche nel nostro Paese sono partite alcune iniziative che possiamo definire game changer. Ad esempio Eniverse, il corporate venture builder di Eni che valorizza tecnologie proprietarie creando nuove iniziative imprenditoriali nella transizione energetica.
«Da quello che possiamo osservare con Cariplo Factory nella nostra esperienza di abilitatori dell’innovazione – conclude Noseda -, anche per le imprese italiane il venture building può essere una scelta vincente per restare competitive in un mercato sempre più tecnologico e in continuo cambiamento. Ma è evidente che, qui forse più che altrove, e specialmente in una fase iniziale, è fondamentale il coinvolgimento di un player esperto che possa guidarle verso le scelte più adatte alle loro esigenze, a partire dai primi step – ovvero dare una risposta alla domanda “questa idea di business ha senso?” fino alla realizzazione della startup e alla finalizzazione dei prodotti».