"Smart City? Una parola vuota". Bruce Sterling smonta i luoghi comuni dell'innovazione
Bruce Sterling, scrittore di fantascienza fra i più importanti e fondatore negli anni Ottanta insieme a William Gibson e altri del movimento cyberpunk, ha scritto un lungo editoriale sulla rivista The Atlantic dal titolo provocatorio: «Stop saying ‘Smart Cities’». Sottotitolo: la polvere di stelle digitale non renderà magicamente le città del futuro più abbordabili o resilienti.
La tesi dello scrittore è che la retorica e il marketing basati sul concetto di città “intelligente” nasconda semplicemente una lotta fra i giganti del web per accaparrarsi l’installazione e la gestione delle infrastrutture digitali (e dei relativi preziosissimi dati sui cittadini), e una parallela lotta fra le città per avere la meglio nella competizione per attrarre capitali (e, per quanto riguarda i sindaci, i voti degli elettori).
Dietro la patina sedicente trasparente dei dispositivi “smart” non c’è un reale miglioramento in senso ecologico e moderno della vita dei nostri centri urbani, ma una questione eminentemente politica che attiene al ridisegno dei rapporti di forza fra aree del mondo. Così esordisce l’articolo:
Il termine “smart city” è interessante anche se non importante, perché nessuno lo definisce. “Smart” è un’etichetta politica chic usata da una moderna alleanza di urbanisti di sinistra e industriali dei settori tecnologici. Chi si definisce “smart” vuol far sembrare stupide le persone che seguono i movimenti nimby o che tirano a campare con lavoretti precari.
I devoti della smart city in tutto il mondo saranno d’accordo con l’affermazione che Londra sia particolarmente smart. Perché? Londra è una grande, sgraziata bestia il cui stile di vita urbano consiste in un disordine scontroso e irrazionale. Londra è un orrendo caos urbano, ma Londra ospita alcune delle più importanti conferenze sulle smart city.
Londra ha anche una vasta burocrazia di management urbano che emette i giusti slogan sulla smart city e ne ha addirittura inventati alcuni. Il linguaggio della Smart City è sempre Global Business English, non importa in quale città tu ti trovi.
Secondo Sterling l’idea ingenua di un futuro reso più “pulito” e in qualche modo “neutro” dalla tecnologia non solo non si avvererà (non del tutto almeno), ma rischia di distoglierci dai processi reali che avvengono:
Comunque, le città del futuro non saranno “smart”, o ben ingegnerizzate, progettate con intelligenza, accurate, pulite, giuste, verdi, sostenibili, sicure, sane, convenienti o resilienti. Non avranno alcun grado particolarmente alto di libertà, uguaglianza o fratellanza. La futura smart city sarà internet, la cloud, e un sacco di strani congegni, schierati dal Municipio, soprattutto con l’obiettivo di rendere le città più attrattive per i capitali.
Prosegue il ragionamento:
Quando tutto ciò sia fatto bene, incrementerà il soft power delle città più attente e ambiziose e farà sembrare i sindaci più meritevoli di essere eletti. Quando sarà fatto male, assomiglierà agli svantaggi portati dalle precedenti ondate di innovazione urbana, come le ferrovie, l’elettrificazione, le superstrade e gli oleodotti. Ci sarà anche un mucchio di effetti collaterali imprevedibili e di contraccolpi tossici che anche il più saggio urbanista non potrebbe mai prevedere.